Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio

Nel Vangelo di oggi c’è una delle frasi più celebri di tutto il Vangelo:«Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». Ma proprio questa parola – co­sì spesso citata, a proposito o a sproposito – non è così facile da capire… Che significa esattamente? Situata nel suo contesto storico, rappresenta il modo assai brillante con cui Gesù sfuggì al tranello che i suoi avversari gli avevano teso, evitando di compromettersi sul piano politico in maniera da non poter essere accusato né come antiromano, né come collaborazionista. In questo Gesù si dimostrò all’occasione un abilissimo politico…

Ma l’accento intenzionale di Gesù ricade senz’altro sulla seconda parte della frase: «E (rendete) a Dio quello che è di Dio». Il che significa riconoscere e professare – di fronte a qualunque tipo di autorità e di regime politico – che Dio solo è «il Signore» dell’uomo, e non ce n’è alcun altro. Si paghi pure l’imposta all’imperatore – sembra dire Gesù – ma a Dio solo sia riservato l’ossequio della propria dedizione e obbedienza senza riserve.

Gesù sembra volersi attenere a un punto di vista esclusivamente religioso sulle cose. Sulla situazione sociale e politica del suo tempo e della sua patria Gesù evitò di prendere posizione e si mostrò, tutto sommato, piuttosto indifferente. Anche per questo mi sembra arbitrario voler fondare su quella famosa risposta di Gesù qualunque teoria generale sui rapporti fra Stato e Chiesa.

Altra questione è chiedersi se, ai nostri giorni, la professione di fede cristiana non comporti anche una presa di coscienza della RESPONSABILITÀ «POLITICA» (in senso ampio) che in un modo o nell’altro investe ogni credente.

Ai nostri giorni, essere cristiani vuol dire rendersi conto che tutti quanti, in qualche modo, abbiamo un po’ di responsabilità non solo nei confronti di noi stessi e della nostra famiglia, ma anche nei confronti della società, sia a livello locale, sia a livello nazionale o internazionale.

Questa responsabilità ha diversi aspetti e diversi gradi. Incomincia dall’onestà e competenza professionale di ciascuno, dal rispetto e dall’osservanza personale delle leggi (dal codice stradale, fino al dovere di pagare le tasse…); passa attraverso il «senso civico», che vuol dire rispetto e attenzione per gli altri, riconoscimento del primato del bene comune sui propri interessi privati…; e va fino al concreto personale impegno per la costruzione di una società migliore: nel quartiere, nella scuola, nel sindacato, nel volontariato, nell’amministrazione locale…, fino al vero e proprio impegno politico in senso stretto. Nei nostri ambienti ogni tanto si sente dire: «La politica è una cosa sporca…». Sarà anche vero; ma potrebbe pure essere una scusa comoda, appunto, per non «sporcarsi le mani» nella cosa pubblica. Salvo poi a lamentarci continuamente dei nostri politici e amministratori.

Vorrei ricordare in proposito le parole del «Catechismo degli adulti»:Signore, da chi andremo?, che in un capitolo intitolato «Testimoni di carità nelle istituzioni» dice: «Il cre­dente sa che la salvezza annunziata da Cristo non viene dalla politica. Ma sa anche che le strade della salvezza percorrono questo mondo, si incontrano con i modi in cui l’uomo ri­cerca con l’azione politica nuovi assetti della convivenza sociale. Rifiutare l’impegno po­litico significherebbe, per il credente, lasciare che altri decidano della convivenza sociale, in base a scale di valori o interessi propri. Non solo. La politica è pure un modo concreto ed efficace per dare spazio e contenuto all’amore verso i fratelli, specialmente i più debo­li (…). Nell’impegno politico il cristiano trova un esercizio della ricerca del bene comune e quindi del servizio agli altri…».

(da elledici.com)

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