Il Figlio unigenito: è Lui che ha rivelato Dio (cf Gv 1,18)

Nella Liturgia di questa seconda Domenica dopo Natale è ovvio che è ancora lo “stupore” del mistero della nascita del Signore che ci trasmettono i testi biblici, offerti alla nostra considerazione.

Tale stupore è come riassunto nel responsorio, ripreso dal Vangelo di Giovanni: “Il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora in mezzo a noi” (Gv 1,14). Dove si affermano due cose, egualmente stupefacenti perché sembrano contraddittorie fra di loro: la prima è che il “Verbo”, cioè il Figlio stesso di Dio, “sua perfetta immagine e somiglianza”, si è “fatto carne”, cioè debolezza umana, fragilità, essere deperibile e mortale; la seconda è che, proprio per questo suo farsi uomo, egli ha voluto prendere “dimora”, cioè domicilio, in mezzo agli uomini, per dimostrare loro che Dio conosce dall’interno i loro problemi, le loro sofferenze, le loro aspirazioni di bene e anche i fermenti di male e le paure che lacerano i loro cuori.

Venendo a considerare le letture più da vicino, mi sembra che ci sia un intreccio di tematiche che le raccorda facilmente fra di loro, facendo toccare con mano l’armonia fra Antico e Nuovo Testamento, naturalmente con una progressione di sempre maggiore comprensione del mistero.

Davanti al mistero dell’Incarnazione al credente non rimane altro che lo “stupore” adorante e lo sforzo di immergervisi sempre di più con il cuore e con la mente, per afferrarne almeno qualche frammento di “luce” (cf Gv 1,9). Una “luce”, però, che traspaia anche nella nostra vita, in modo da essere anche noi un “prolungamento” del mistero dell’Incarnazione. (Settimio Cipriani)

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