Oggi il Vangelo offre al nostro ascolto il noto episodio dei due discepoli di Emmaus. Essi compiono un cammino fisico perché si spostano da un luogo all’altro; ma il loro è soprattutto un cammino spirituale, perché maturano un nuovo rapporto con Gesù. Passano dalla presunzione di conoscere tutto di Lui ad una conoscenza autentica, tanto che l’evangelista Luca sente il bisogno di scrivere che “i loro occhi si aprirono e lo riconobbero”.
Gesù insegna a capire il mistero della vita e la risurrezione, partendo dalla sofferenza e dalla morte. Fa questo avvicinando i due alla Scrittura e permettendo loro di accostarla in modo diverso. Camminando con i due, Gesù li aiuta a compiere quel passo decisivo che permette di scorgere la luce della vita.
Al termine del cammino, accetta l’invito a restare perché la sua missione non è ancora conclusa. Egli vuole ricordare che il cammino inizia con le Scritture e culmina nell’azione sacramentale dello spezzare il pane. I due prima lo vedevano e non lo riconoscevano, ora lo riconoscono e non lo vedono più. Ma ormai, insieme con Gesù, avevano imparato a “camminare nella storia”, guardando con gli occhi di Dio. E questo basta.
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ACCOGLIENZA
L’amministrazione capitolina, istituendo un “servizio speciale per gli immigrati”, aveva chiesto a noi dipendenti la disponibilità ad esso. Avevo dato il mio assenso, ma avendo cercato di sapere, nell’edificio dove lavoro, chi altri avesse aderito all’invito, mi ero trovata di fronte a tanta avversione e a pregiudizi. Per molti colleghi, infatti, gli immigrati erano dei concorrenti per un lavoro o una casa.
A questo punto ho cercato di mettere in evidenza il valore dell’accoglienza del diverso da noi. Ma il muro da abbattere era alto. Con alcuni, che sapevo cristiani, ho focalizzato il discorso su un passo di san Paolo: “Accoglievi l’un l’altro come Cristo ha accolto voi…” (Rm 15,7). Tre colleghi hanno convenuto su questo dovere: “Forse ora siamo messi veramente alla prova come cristiani ed è tempo di testimoniarlo”, dicevano.
A.F., Roma