Più di tre anni or sono ho conosciuto un giovane, all’epoca diciannovenne, nell’ambiente dei “ragazzi della strada” che continuo a seguire anche dopo la chiusura del “parco della droga” di Zurigo. Capisco che è un tipo in gamba, ma è caduto nella trappola della droga e, per procurarsi i soldi, si prostituisce. Non so come fare ad aiutarlo, tanto più che non intende lasciarsi aiutare. Accetta che continui a incontrarlo solo perché ritiene che possa diventare un suo “cliente”, anche se io a più riprese gli ho fatto capire che non lo sarei mai diventato. Lo tratto con rispetto e non lo condanno, anche se gli dico chiaramente cosa penso del suo comportamento, e gli lascio sempre spalancata la porta dell’amicizia vera. Ogni volta che lo incontro ho la certezza di incontrare Gesù, crocifisso e abbandonato, e si rinnova in me la sfida di credere che anche in questo caso l’amore avrà il sopravvento.

Dopo un paio d’anni che ci vediamo, senza che ci sia alcun cambiamento, ho l’impressione di perdere il mio tempo, ma sento forte in me la spinta a non abbandonarlo, perché Dio non lo farebbe mai. Cerco attraverso il dialogo di trovare un terreno di interessi comuni, curandomi di lui e delle sue esigenze. Di religione non vuol nemmeno sentir parlare, perché gli sembra roba per vecchietti bigotti, ma rispetta che io viva coerentemente la Fede, perché, dice, «sento che per te è vero».

Vengo a sapere che è ricoverato in ospedale e vado a trovarlo appena posso cercando di fare mie le sue pene e i suoi dolori. Lo incontro per strada dopo che è stato dimesso e subito mi chiede: «Come mai sei venuto a trovarmi così spesso? Vengo da un mondo così diverso dal tuo e proprio non capisco…». Certo non posso rispondergli che il “motore” della mia vita è Gesù, crocifisso e abbandonato, perché non capirebbe, e gli dico semplicemente che essendo lui mio amico è normale che lo aiuti quando è in difficoltà. Dopo avermi ascoltato molto attentamente, improvvisamente sbotta: «Sai, in ospedale avevo molto tempo per riflettere e cercavo di dire a me stesso che non riesco a credere in Dio, ma mi rendo conto di mentire, che non è vero questo, che ho solo paura di ammettere la verità, perché ciò mi costringerebbe a cambiare vita. Ora non posso continuare a negarlo. Sei l’unica persona veramente felice che ho incontrato nella mia vita. Sei sempre stato sincero nei miei confronti e io in cambio ti ho tentato per sfidarti e metterti alla prova. Tu mi hai sempre testimoniato la tua amicizia. Voglio anch’io provare a vivere come te, ma non so come cominciare: mi aiuti?».

Gli propongo di cercare di vivere insieme la Parola di Vita: non capisce, certo, ma si fida di me. Iniziamo a cercare di «amare sempre». È faticoso cambiare nel suo cuore il significato della parola «amare», che, per lui, fino a quel momento ha voluto dire prostituirsi per i soldi, ma il cammino è iniziato nella nuova direzione e lui gradualmente riacquista la gioia di vivere. È un cammino arduo, occorre rialzarsi sempre dopo ogni caduta, affrontare sempre nuovi turbamenti e sfide. Sento che non posso mollare, che devo continuare a credere per lui quando non ce la fa più. Se fa un’esperienza positiva, subito corre a raccontarmela e scopre sempre più la bellezza del cristianesimo. Gli trovo un lavoro in un’altra città e così si allontana anche da certe ricorrenti tentazioni.

Mi rendo conto di avere una certa fretta di raggiungere con lui la tappa della riconciliazione con Dio, ma mordo il freno; so che non posso chiedergli nulla e semplicemente continuo ad amarlo in modo disinteressato.

Finalmente la settimana scorsa mi cerca al telefono perché vuole incontrarmi. Ieri giunge puntuale all’appuntamento: trema per l’emozione e a fatica, tra le lacrime, mi dice: «Sento che ho iniziato una vita che vale la pena di essere vissuta e non so come fare a mettermi in pace con Dio, che tu mi hai fatto in­contrare…». Gli propongo di aiutarlo a prepararsi alla confessione e, ottenuto il suo assenso, dopo esserci preparati insieme, lo accompagno da un sacerdote amico. Sulla porta trema come una foglia e io gli suggerisco di fare tutto come un dono riconoscente d’amore a Gesù. Quando esce dalla confessione è raggiante e mi dice: «Sono l’uomo più felice del mondo! Sì, è vero, ho trovato Dio e ho sperimentato che Lui mi ama, malgrado tutto, perché tu mi hai amato. Grazie!».

Mentre è sulla via del ritorno a casa è coinvolto in un gravissimo incidente stradale e Dio lo chiama a sé per l’eternità. Sono certo che ha portato felicemente a termine il cammino verso il Padre, perché Dio stesso lo ha preparato in ogni minimo particolare. Mi è ora spontaneo affidargli tutti i miei “ragazzi della strada”, perché sono certo che ormai anche loro hanno un nuovo protettore lassù!

S.V. – Svizzera