“Neanche Dio mi può perdonare”. Ricordo bene le sue parole ai nostri primi incontri. Lui, giovanissimo omicida della persona a cui voleva più bene. “Perché l’ho fatto? Perché Dio ha permesso che lo facessi?”. Era il suo duello con se stesso e con Dio, il corpo a corpo di un ragazzo di 23 anni che aspetta una condanna severa e lunga e si domanda che senso possa avere, di lì in poi, la sua vita. “Meglio morire…”. Dopo qualche mese, proprio in un momento in cui forte, urgente, straziante era la domanda “che ne sarà di me?”, pensai che fosse il momento giusto: “Prova a leggere il Vangelo di Luca – gli dissi – senza pretendere di capire tutto subito”. Da lì in poi il rapporto tra noi divenne più personale. Dopo otto mesi fu pronto per il sacramento della riconciliazione. Partecipava alla catechesi, a Messa faceva il lettore, pregava tutti i giorni. È una storia di molti anni fa. Oggi è fuori, libero. Il Signore gli ha fatto comprendere che la sua vita poteva ancora avere un senso. È riuscito nell’impresa di perdonare se stesso, nonostante il suo passato, con il suo peso da reggere, sia sempre lì. Ma adesso sente che Dio lo accompagna, lo aiuta a reggere quel peso, gli permette di vivere. Avrebbe desiderato ricevere il perdono della famiglia della ragazza. Ha provato a cercare un contatto. Ma non gli è stato concesso. La ferita è ancora troppo dolorosa. Ma forse, un giorno…

Don Virginio Balducchi, Roma (da Avvenire)