Ho 39 anni, mio marito è il mio migliore amico, abbiamo due belle bambine di 7 e 5 anni, sono psicologa di un’Agenzia internazionale. Sto per partire per un nuovo incarico, le valigie sono pronte, il biglietto confermato.

È arrivata una visita inattesa: è un amico d’infanzia, un chirurgo molto conosciuto, di passaggio nella nostra città. È venuto a salutarci.

Approfittando della sua presenza gli chiedo di controllare una cisti al seno che ogni tanto mi fa male. Mi esamina e… sembra passare un’eternità. Poi mi guarda e riconosco quello sguardo serio e attento. Gli chiedo: «Sto per morire?». Sorride, poi mi spiega che la cisti è grande e che devo fare immediatamente la biopsia, poi l’intervento per asportarla. Mormoro un grazie e saluto con un grande subbuglio dentro di me.

Rientrata in camera guardo i bagagli: non si parte più. Sento come una lama di coltello attraversarmi e nella mente si affollano le immagini delle mie bambine: come sarebbero cresciute senza di me?, di mio marito: si sarebbe risposato?, dei medici che scavavano nel mio corpo: sento terrore e confusione.

Poi prendo il telefono e parlo con una persona che condivide con me l’Ideale. Lei piange con me e mi dice: «Questo è il tempo di credere veramente all’amore di Dio per te. Lo facciamo insieme». Le sue parole subito fanno sparire quelle immagini dalla mia mente, mi portano in un’altra dimensione.

Quindi, calma, capisco che devo rispondere a questo amore, devo essere la prima ad amare, la prima ad accettare questa sofferenza ed essere coraggiosa per amore di quelli che mi amano. Scendo di sotto: sono pronta ad andare in ospedale.

Armata di una fede rinnovata ho capito perché i primi cristiani cantavano quando andavano verso i leoni. Non avevano paura perché sentivano Dio con loro; così anch’io ho cantato mentre entravo nella sala operatoria.

L’esperienza in ospedale è stata ricca di miracoli: trovare subito una stanza, scoprire che il chirurgo è un amico di mio marito, ricevere un trattamento pieno di attenzioni, sentire che le preghiere erano abbondanti, ricevere visite, fiori e amore da parte di tutti.

Tornata a casa l’amore è continuato. Non potendo più lavorare l’economia della famiglia è drasticamente ridotta, tuttavia non manca nulla: il Padre si è preso cura di noi! Da parte mia devo solo fare la Sua volontà e questo è semplice da dire, ma non sempre da fare. Abituata a una vita attiva sento il peso di rimanere a casa tutto il giorno spesso sola e avvertire tutti gli effetti della chemioterapia. Essendo una psicologa so che essere ammalati gravemente comporta una crisi grave di tutta la persona: influenza il fisico, la psiche, l’anima.

Però l’amore del Padre per me in questo periodo è così forte che non posso non rispondere a Lui:

«Ti voglio bene, Signore, quando al mattino gli esercizi per il mio braccio destro sono troppo dolorosi.

Ti voglio bene quando il cibo sembra diventato di gomma.

Ti voglio bene quando per alzarmi devo chiedere aiuto.

Ti voglio bene quando la nausea mi assale.

Ti voglio bene quando i capelli cadono a ciocche.

Ti voglio bene quando il pensiero della morte mi invade».

Molte volte ho mancato di amarLo, molte volte sono stata insofferente con gli altri, ma quando il giorno dopo mi sveglio chiedo perdono e ricomincio di nuovo.

Non mi aspetta un letto di rose senza spine, sono cosciente che le difficoltà rimarranno. La chemio diventa sempre più pesante. I pensieri per la famiglia crescono, perché le bambine hanno sempre bisogno di me. Ma tutto questo è diventato un'”avventura” per me, per la mia famiglia, per i miei amici. Ho visto molti frutti lungo il cammino.

Può sembrare assurdo, ma ci sono momenti in cui ringrazio Dio per il mio cancro. Mi è stata offerta la più grande lezione di vita che mi fa diventare una persona paziente, che perdona, che ha la temperanza, la fortezza. Mi insegna a pregare, trasformando tutto in una canzone di lode. Mi porta vicino a Maria Desolata ai piedi della croce, che non ha mai cessato di credere all’amore.

A. – Italia