Circa due mesi fa arrestammo un giovane ferito ad una spalla. C’ero io a piantonarlo e gli chiesi se la ferita gli faceva male: “A te che te ne importa? – reagì: tu sei solo uno sporco poliziotto!”. Sì, ma anche uno che voleva aiutarlo. Rispose: “È comodo per te che ogni mese prendi lo stipendio ed invece io sono costretto a rubare; non hai neanche diritto di parlarmi”. Aggiunsi che ognuno di noi ha il suo fardello da portare sulle spalle. Pian piano cominciò ad aprirsi. Aveva ricordi tristi dell’infanzia, in una famiglia violenta. “Le difficoltà si possono affrontare e trasformare in positivo – suggerii -. Prova a chiedere aiuto a Dio, lui certo ti vuole bene”. Quando finii il mio turno, mi prese la mano: “Mi dispiace che vai via”. Ogni tanto gli mandavo biscotti e giornali. Quando fu portato in carcere, gli scrissi e lui mi rispose: “Avrei voluto dirti grazie, ma non sapevo il tuo nome. La mia ferita è guarita e sta guarendo anche il mio cuore. Sono con tossicodipendenti, malati di Aids, sbandati e stranieri; vivo con loro e non ho paura, perché, come dici tu, con l’amore si genera solo amore, mentre con l’odio solo dolore”.
D.P., Italia