Un giorno di settembre parto per una città che dista da Bogotà quattro ore, per fare una consegna da parte della tipografia in cui lavoro. Consegnato il pacco, torno alla stazione degli autobus. Mentre aspetto l’ora della partenza, mi si avvicina un ragazzo con il quale incomincio a conversare amichevolmente. A un certo punto mi chiede cosa penso io dell’attuale situazione che stiamo vivendo in Colombia. Gli rispondo che la Colombia e il mondo soffrono la violenza perché gli uomini non si amano, non vivono in unità. «Ma cos’è l’unità?», mi chiede. E io: «L’unità è l’unica forza capace di trasformare il mondo». E gli racconto qualcosa della mia vita di cristiano.

Il mio giovane interlocutore ascolta molto interessato. Noto però che, anche se si presenta bene, riflette una particolare inquietudine.

Al momento di salire sull’autobus mi congedo da lui che mi dice di esser venuto solo per spedire un pacchetto.

Siamo sul punto di partire quando arriva la polizia che chiede a tutti di scendere per poter fare una perquisizione dell’autobus e dei passeggeri. I poliziotti prendono di mira in modo particolare me e mi fanno un interrogatorio di sesto grado. Ho molta paura e mille pensieri mi passano per la testa. Chiedo a Gesù di aiutarmi dal momento che lui sa che non ho fatto nulla di male.

Dopo venti minuti di botta e risposta, uno dei poliziotti cambia atteggiamento nei miei confronti. Mostrandomi un involucro contenente dinamite, mi dice che poco prima aveva ricevuto una telefonata anonima da una persona che lo informava di essere stato pagato per collocare in quell’autobus quella bomba. Però, avendo trovato fra i passeggeri un giovane che gli ha parlato di una nuova speranza per il mondo e che gli ha dato anche per un solo istante la gioia di vivere, ha pensato che la vita vale più di qualunque altra cosa e per questo aveva deciso di chiamare la polizia per avvisarla di togliere dall’autobus il pacco e disinnescare la dinamite.

Aggiungeva che lui non è un uomo che crede in Dio, però si augurava e pregava che si fermasse in tempo una strage sicura. Chiese anche che cercassero quel giovane dalla camicia bianca e dalla giacca azzurra e gli dicessero che con la sua risposta e con il suo atteggiamento, certamente avrebbe concorso a salvare il mondo, come oggi aveva salvato lui. Poi bruscamente riattaccò il telefono.

Respiro profondamente e, trovandomi nuovamente sull’autobus ormai avviato verso casa, penso che a quell’ora avrei potuto essere già morto. Però mi sono detto che, anche se fosse stato così, sarei morto con la certezza che il mondo sarebbe cambiato.

J.G.B. – Colombia