Ho conosciuto il Movimento dei Focolari durante la guerra in Ruanda, il mio paese d’origine, leggendo il libro L’avventura dell’unità.

Ho trovato lì un passaggio dove si dice come Chiara e le sue prime compagne, durante la Seconda Guerra mondiale, sotto i bombardamenti, nel rifugio, dove erano insieme ad altra gente, hanno trovato il versetto del Vangelo: «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, ivi sono io» (Mt 18, 20). Hanno creduto a questa Parola. L’Amore, per loro, era più forte dell’odio, della guerra, quell’amore che nasceva dall’unità con Gesù, quel Gesù che aveva promesso di essere presente.
Il carisma dell’unità mi interpellò profondamente, tanto più che nel mio paese la mia famiglia, i miei amici vivevano la lacerazione.
Farsi uno con l’altro: mi sembrava di poter vivere così con quelli che soffrono, con i miei che piangono, ma solo al pensare a quelli che fanno del male, che ammazzano i bambini, ero in piena rivolta. Auguravo loro solo un castigo nella misura del loro agire. Farsi uno con l’altro, ma chi è l’altro? Chi è il mio fratello? Sarà che Dio chiede di amare i nemici?
Durante tutto quel periodo, con queste domande in cuore e in testa, ho saputo che i miei genitori erano stati ammazzati.
Una settimana dopo è stata la volta di mio fratello, in condizioni atroci!
E mi tornava sempre la domanda: come farmi uno con l’altro?
Pregavo tanto. A un certo punto Dio mi ha dato una grazia speciale che solo Lui può dare: perdonare chi aveva ucciso i miei. Ritrovai la pace, poco a poco.
Un anno dopo venni a sapere che quelli che avevano ucciso mio fratello erano conosciuti e vivevano liberamente nel paese. Il rancore mi ha preso il cuore. Credevo di aver perdonato, ma c’era da ricominciare da capo: chiedere a Dio di mettere di nuovo il perdono nel mio cuore. Mi domandavo come avrei reagito se avessi dovuto incontrare quelle persone. Poi ho capito che ciò che Dio mi chiedeva era di amare nell’attimo presente, di amare chi è accanto a me, in famiglia, di amare il vicino, la persona che incontro. Lui poi mi avrebbe dato la grazia, le parole giuste.
A un incontro ho capito e sperimentato che la sofferenza offerta è sorgente di grazia. Così ho offerto la mia sofferenza, quella dei miei, quella delle mie amiche, madri che avevano perso i loro figli.

Ringrazio Dio che non chiede di capire il senso della sofferenza, ma chiede di offrirla a Lui perché la possa trasformare in grazia.

M.G. – Ruanda