Millar non riusciva a spiegarselo. Christian chiedeva sempre permessi infrasettimanali, mai il sabato e la domenica come altri ragazzi della fattoria. Poi, lavorava il doppio per recuperare le ore perse. Era un contadino instancabile, serio e rigoroso. Millar non si era pentito di avergli offerto l’impiego sei mesi prima. Certo, c’erano quelle strane assenze. Alla fine glielo aveva confessato: “Sono stato un guerrigliero. A 16 anni ho imbracciato il fucile, poi il 5 gennaio 2008 ho lasciato le Farc (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia) e sono entrato nel programma di reintegrazione. I permessi sono per i colloqui di verifica”.

Millar aveva avuto un tuffo al cuore. Aveva in casa uno di loro. Sì, di loro. Di quelli che avevano piazzato le mine su cui erano inciampati i due fratelli: le loro gambe erano state ridotte a brandelli. Condannati alla sedia a rotelle. Lui, però, era anche Christian, il lavoratore impeccabile, il ragazzo gentile che si fermava più del dovuto per aiutare i compagni, che spesso si fermava a chiacchierare. Doveva giudicarlo per ciò che era o per quello che è diventato? No, non l’avrebbe licenziato. Dopotutto, ognuno ha diritto alla sua quota d’errori.

Allora, era l’inizio del 2009, non pensava che otto anni dopo Christian sarebbe diventato addirittura suo socio nella coltivazione di banane. Ne hanno novemila piante a Granada, nella Stato del Meta. Lavorano fianco a fianco e ormai sono amici. “L’accordo con le Farc non mi entusiasma. Ma se è per il bene del Paese, dico: ‘Facciamolo!’. Christian ed io ce l’abbiamo fatta. Anche questa nazione, dunque, ha una possibilità di pace”

Da Avvenire