Davvero quest’uomo era Figlio di Dio! (Mc 15,39)

L’entrata trionfale di Gesù a Gerusalemme e il racconto della passione sono le due scene della celebrazione odierna, quasi ad indicare plasticamente le due concezioni opposte del Messia che deve venire: quella del re glorioso che tutti aspettavano e quella del servo sofferente che Dio aveva invece preparato per la nostra salvezza.

Il racconto della passione che seguiremo questa domenica è quello di Marco. In esso possiamo, tra le altre, cogliere queste caratteristiche. Innanzitutto, una certa crudezza nel descrivere senza veli e senza alcuna attenuazione gli aspetti più sconcertanti della passione di Gesù Parla di “paura e angoscia”; riferisce tre volte l’invocazione di Gesù al Padre per essere liberato; delle parole di Gesù in croce ricorda solo il suo grido per l’abbandono del Padre (Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?): tutti particolari che gli altri evangelisti o attenuano o addirittura omettono.

Poi la progressiva accentuazione dei titoli messianici nel corso del racconto (Figlio dell’uomo, Messia, Re dei giudei) che culmina nell’aperta professione di fede di un pagano, il centurione, ai piedi della croce: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!”.

Il vangelo ci dice la sofferenza sconvolgente di Gesù che nasce dall’obbedienza al Padre, ma anche del difficile cammino di fede degli apostoli e dei primi discepoli: l’uomo schiavo dell’egoismo e vittima dei suoi stessi vizi e peccati, dai quali non sa come uscirne, i malati, i poveri, i perseguitati… Gesù ha offerto la sua vita per salvare tutti noi dal peccato. Chi si offre oggi per contribuire alla liberazione degli oppressi? Noi che vogliamo essere cristiani possiamo mettere il nostro amore fatto di piccoli o grandi gesti. E sarà il nostro amore a continuare quell’amore grande “di colui che dà la vita per i propri amici”.

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