Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto (Gv 15,5)

Il nostro rapporto con Gesù rappresenta il tema di fondo dell’odierna liturgia. Gesù, presentandosi come “vera vite”, si pone come centro significativo della vita cristiana e come condizione essenziale per “portare frutto”. Ma occorre “rimanere in lui” (vangelo). Ciò avviene mediante l’osservanza dei comandamenti, in particolare quelli riguardanti la fede e l’amore fraterno (2a lettura). Un esempio di ciò che può significare un vitale rapporto con il Cristo, è dato dall’entusiasmo con cui Paolo testimonia la sua fede (2a lettura).

L’immagine della vite con i tralci esprime bene l’essenziale e il vitale legame tra Gesù e i credenti. La vita di questi ultimi dipende dall’intensità del loro rapporto con lui; non solo perché egli ne è il modello, ma perché costituisce la stessa forza interiore del cristiano. Egli è la vera vigna del Signore: si diventa popolo di Dio mediante l’inserimento in lui. Il “rimanere in lui” non è una realtà statica, avvenuta una volta per sempre nel battesimo. È una realtà dinamica: occorre lasciarsi potare dal Padre e la preghiera diviene efficace. Diversamente il tralcio infruttuoso è tagliato e gettato nel fuoco; c’è il rischio di diventare cristiani senza mordente e insignificanti.

È bene chiedersi: cosa significa per me rimanere in Gesù. È lui la sorgente del mio agire? Cerco di pensare come Gesù? Di fare come lui? Di incontrare gli altri come li incontrava lui? Di lavorare con il suo stile? Di servire come lui serviva?…

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