Rabbunì, che io veda di nuovo! (Mc 10,51)

Come l’Israele disperso in esilio (1a lettura) e come il cieco Bartimeo sulla strada per Gerico (vangelo), anche noi siamo in attesa della salvezza. Promessa da Dio come futuro (1a lettura) e in parte resa presente da Cristo (vangelo), si realizza in noi ogni volta che ci incontriamo con Gesù e ci mettiamo al suo seguito, ogni volta che incontriamo qualcuno che ci apra gli occhi, che ci liberi dalle nostre infermità.

È bello vedere che con Gesù chi vive nella difficoltà non è più lasciato da parte. Anzi diventa il centro del suo interessamento e la guarigione è il segno che il regno di Dio è giunto. Chi incontra Gesù, chi si fida di Lui, come il cieco Bartimeo, incontra la salvezza, viene cioè liberato dal suo male (v 52). Cristo non delude: incontrarlo significa trovare la luce. E una volta trovata la luce, è spontaneo mettersi al suo seguito, come ha fatto Bartimeo.

Ci troviamo un po’ tutti nei suoi panni, accasciati sul margine della strada, perché manca la vista, in attesa di qualcuno che ci apra gli occhi. È la fede che dona la possibilità di vedere, è l’incontro con Cristo che ci fa riprendere il cammino e ci dona la possibilità di seguirlo come persone che vedono.

Possiamo chiederci: sono aperti o ancora chiusi i nostri occhi? Vediamo i bisogni del fratello, le esigenze del nostro tempo? Che facciamo per curare quei bisogni, per rispondere a quelle attese? In fondo sappiamo che essere seguaci di Gesù ci impegna a fare come ha fatto Lui. E “grandi cose ha fatto il Signore per noi”, dice il versetto del salmo responsoriale odierno.

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