Nella scuola dove insegno era stato trovato un alunno che si drogava durante l’orario scolastico. Il preside mi ha incaricato di occuparmi del caso, impartendo una punizione esemplare. Ho dovuto fare parecchi colloqui con lui e con i suoi genitori. Ero di fronte ad un ragazzo a rischio di tossicodipendenza grave e a genitori smarriti davanti a questa situazione. Ho cercato di trovare una soluzione costruttiva. Tante volte questi casi si risolvono con qualche settimana di espulsione dalla scuola, periodo durante il quale lo studente ha più tempo per frequentare l’ambiente che lo danneggia.
Ho contattato diverse istituzioni sino a trovare un’associazione che lavora nella riabilitazione dei giovani impegnandoli in varie attività positive alle quali anche il nostro ragazzo ha potuto partecipare. Spesso parlavo di lui con mio marito, che è medico, per capire insieme come poterlo aiutare ulteriormente. Proprio lui mi ha suggerito che poteva essere utile portarlo in una clinica dove sono ricoverati malati terminali di Aids; lui conosceva alcune persone che vi lavoravano, così un giorno siamo andati in quell’ambiente insieme al ragazzo. Alcuni dei pazienti hanno avuto l’opportunità di parlare con lui e raccontargli che era stata proprio la droga a portarli a quel punto.
Occorreva anche chiarire a tutti i ragazzi della scuola che ciò che lui aveva fatto non era bene. Perciò, dovendo assegnargli una punizione, ho deciso di non permettergli di assistere alle lezioni per un breve periodo, rimanendo però con lui in biblioteca dove l’aiutavo a seguire il programma svolto in classe e gli assegnavo i compiti perché non restasse indietro rispetto ai compagni.
È stato un lavoro complesso che mi ha impegnato davvero, ha richiesto tanto tempo e mi ha dato la possibilità di aprire una porta alla speranza.
M. M.