Editoriale Pregare ai tempi della pandemia
Di ENZO BIANCHI

Papa Francesco ha avuto l’audacia di porsi come intercessore per l’umanità colpita dal coronavirus. Lo ha fatto andando a pregare davanti all’icona di Maria Salus populi romani e poi davanti allo storico Crocifisso nella chiesa di San Marcello al Corso, lo stesso che Giovanni Paolo II durante il Giubileo del 2000 volle in San Pietro per la liturgia di confessione dei peccati commessi dalla Chiesa nella storia. Il Papa ha detto: «Ho chiesto al Signore di fermare l’epidemia: fermala, Signore, con la tua mano!».

Parole ispirate dalla fede e dalla convinzione dell’efficacia della preghiera. Sono però parse stonate ad alcuni che hanno sottolineato come la vittoria sul virus si può ottenere grazie alla competenza umana e soprattutto alla ricerca scientifica e alla medicina.

Dobbiamo essere sinceri e ammettere che per l’uomo secolarizzato di oggi è difficile, se non impossibile, pensare a un Dio che interviene a togliere il male.

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Abbiamo perduto anche l’immagine di un Dio che può liberarci qui e ora dal male in cui gemiamo e soffriamo. Come dunque pregherà un cristiano nell’ora del bisogno, della sofferenza e della morte? Cosa chiederà?

Tutta la Scrittura, nella sua unità di Antico e Nuovo Testamento, ci testimonia preghiere rivolte a Dio o a Gesù per la guarigione, fino alla richiesta di vittoria sulla morte. Mosè, quando sua sorella Maria fu colpita dalla malattia della lebbra, gridò al Signore: «Dio, ti prego, guariscila!» (Nm 12,13) e a Gesù tante volte fu chiesta la guarigione, dai malati stessi o da altri che glieli presentavano. Dunque con fede, semplicità e confidenza filiale in quest’ora di epidemia possiamo chiedere a Dio: «Ferma questa pestilenza! Liberaci da questa pandemia!». Non dimentichiamo che questa preghiera fiduciale è la stessa che la Chiesa ha sempre fatto per chiedere la pioggia, il ritorno del sereno, o per la liberazione da tempeste, dalla fame e dalla guerra.

Ma attenzione, il cristiano è ben consapevole: con questa formulazione di preghiera non pretende, non detta a Dio il comportamento, ma semplicemente denuncia davanti a lui il dolore che assale l’umanità e la potenza della morte che avanza. D’altronde Gesù stesso nel Getsemani di fronte alla morte violenta che stava per raggiungerlo pregò così: «Padre, allontana da me questo calice!» (Mc 14,36). Il Padre non gli tolse quel calice che Gesù, restando fedele alla sua vocazione e alla sua verità, non poteva non bere.

Significativamente però, come attesta il Vangelo secondo Luca, gli mandò un messaggero, un “angelo interprete”, a consolarlo e a sostenerlo nella prova (cf. Lc 22,43). Potremmo dire che lo Spirito santo si fece consolatore di Gesù e, come l’aveva fortificato nel deserto di fronte alla tentazione del demonio, lo sostenne al momento della sua passione e morte.

Dio risponde sempre alla nostra preghiera, che noi dobbiamo fare con insistenza, senza venir meno: non per affaticare Dio, ma per invocarlo accanto a noi, per entrare nel mistero della sua presenza amorosa e accogliere il suo Spirito santo. Sì, perché Gesù ha detto: «Se voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito santo a quelli che glielo chiedono» (Lc 11,13).

(da Avvenire del 24 marzo 2020)