3 maggio 2020 – 4a di PASQUA

Atti 2,14a.36-41 / 1Pietro 2,20b-25 / Giovanni 10,1-10

Chiama le sue pecore, ciascuna per nome (Gv 10,3)

Nell’immagine del Pastore che si rivolge a ciascuna pecora chiamandola per nome, l’evangelista Giovanni scorge uno dei fondamenti del nostro essere discepoli di Gesù. Il fatto di chiamare per nome le sue pecore esprime la conoscenza profonda che Egli ha di ciascuna di esse. È questa conoscenza che diventa la forza che attrae e che genera la gioia di seguirlo. Noi avvertiamo di appartenere a Lui. In Lui trova il suo senso pieno la nostra esistenza.

“Egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome”: Gesù pronuncia il mio nome e il mio nome è tutta la mia verità, è il mio tutto. Gesù entra nel “recinto” e conosce. Sulla sua bocca il mio nome dice conoscenza di vita, intimità e mi avvolge come un abbraccio. Mi chiama con il solo nome, senza evocare nessun ruolo o autorità, o funzione, o attributo perché riconosce la mia umanità profonda, il fatto che io sono uomo o donna.

E qui ci sta anche la bellezza del nostro essere cristiani. Perché prima di pensare a quello che noi possiamo e dobbiamo fare è importante pensare a quello che Gesù, che Dio-Padre, fa per noi, per me e per te! Siamo amati. Il profeta Isaia usa l’immagine dell’essere “disegnati” sul palmo della mano di Dio (Is 49,16).

A noi spesso capita che quando non vogliamo dimenticare qualcosa ce la scriviamo sul palmo della mano. Dio non “vuole” dimenticare nessuno. Essere cristiani, essere discepoli di Gesù è una questione di amore. Sono infinitamente amato da Dio e per questo posso amare Dio accogliendo la sua Parola e “passando” attraverso la porta che è Gesù.

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