5 luglio 2020 – 14a domenica t. ord.

Zc 9,9-10 / Rm 8,9.11-13 / Mt 11,25-30

Io sono mite e umile di cuore (Mt 11,29)

Il Signore Gesù, in virtù della sua intima comunione con il Padre, è davvero colui che può rivelare al mondo la vita di Dio.

Il brano evangelico di questa domenica comprende l’ultima parte del capitolo undici di Matteo. Terminato il “discorso missionario” viene raccontata l’ambasciata del Battista, che offre l’occasione a Gesù di mostrare nelle opere da lui compiute la prova della sua messianicità.

Poi Gesù rimprovera le città perché pur avendo visto le sue azioni straordinarie, non si sono convertite, non hanno cioè riconosciuto in lui la presenza del Messia. Il tono del discorso è molto duro, eppure cambia improvvisamente: al versetto 25 inizia il brano odierno e le parole di Gesù lasciano trasparire gioia e intima commozione. Il cambiamento è determinato proprio dal fatto che l’attenzione passa da coloro che rifiutano il Cristo a coloro che lo accolgono. E Gesù invita l’umanità a mettersi alla sua scuola. Una scuola che è comunione di vita con lui e alimenta il desiderio di imparare da lui, di averlo cioè come modello. Gesù propone il suo “giogo”, che non è una nuova legislazione, ma la sua stessa persona da accogliere e da imitare.

E in particolare Gesù ci propone due sue caratteristiche: la mitezza e l’umiltà.

La mitezza che Gesù ci propone non è avere un atteggiamento da perdente, ma fare nostro il suo modo di guardare agli altri pieno di compassione e di misericordia: fare nostro il suo modo di stare davanti al dolore e alla sconfitta. La croce è la scuola più grande della mitezza perché è la cattedra dell’amore più grande.

E poi l’umiltà, che è riconoscere che quello che io sono è dono di Dio che mi chiama ad essere a mia volta dono. Posso in questa settimana vivere la sobrietà nell’uso dei beni e la sincerità nei rapporti con gli altri.

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