1 agosto 2021 – 18a domenica Tempo Ordinario

Es 16,2-4.12-15 / Ef 4,17.20-24 / Gv 6,24-35

Signore dacci sempre questo pane (Gv 6,34)

Tutti abbiamo bisogno di mangiare. Senza cibo non si vive: si muore – letteralmente – di fame (cf 1ª lettura). Ma forse questa osservazione non ci fa né caldo né freddo. Dopo tutto, se ci viene fame (cioè: appena appena un po’ di appetito…) sappiamo sempre dove trovare qualcosa da mangiare: in frigorifero, in pizzeria, al ristorante… Bisognerebbe aver provato almeno una volta cosa significa veramente la fame, per riscoprire in tutta la sua crudezza cosa significa aver bisogno di cibo per sopravvivere. Ci accorgeremmo immediatamente di quanto poco, in realtà, noi siamo “padroni” della nostra vita, dal momento che non siamo affatto “autosufficienti”. La nostra vita – e con la vita ogni altro bene dell’esistenza – dipende dal mondo che ci circonda e dalla disponibilità di cibo che da esso ricaviamo: pane, riso, carne o altro. Da noi – in tutti i paesi attorno al Mediterraneo – la parola-simbolo per dire il nutrimento minimo, essenziale, indispensabile per poter vivere, è pane (non per niente si dice “guadagnarsi il pane”, “togliersi il pan di bocca”, o “mangiar pane a tradimento”, ecc.). Al di là di tutti i “bisogni” più o meno superflui o fasulli che la moderna civiltà dei consumi tende a moltiplicare sempre di più (per complicarci la vita!) il “pane” rimane come il simbolo del bisogno primario, assolutamente imprescindibile, a cui è legata la nostra esistenza.

“Non cercate il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna” (cf Vangelo). Gesù aveva dato da mangiare gratis a una folla di gente, moltiplicando pochi pani a disposizione. Entusiasti della cosa, volevano farlo re. Ma il miracolo di Gesù non aveva uno scopo propagandistico e politico; e neppure uno scopo semplicemente umanitario e sociale. Era un “segno” da interpretare in un senso molto più profondo e radicale, che la gente non aveva “visto”, non aveva capito.

È vero che tutti abbiamo bisogno di pane per vivere, ma è pur vero che “l’uomo non vive soltanto di pane” (Dt 8,3). Come è vero che per tutti viene il momento in cui il pane non basta più per vivere; e neanche le medicine o i soldi, il prestigio, il potere, o l’amore di chi ci vuole bene. Per un verso c’è in noi una “fame” che ci porta a cercare sempre nuove cose e nuove esperienze. Per altro verso, nessuna realtà del mondo è in grado di saziare questa fame, quel desiderio indefinito e senza fondo che abita e agita il nostro cuore.

L’uomo non può colmare con le sue forze la propria fame di vita e di felicità. “Da una parte infatti, come creatura, sperimenta in mille modi i suoi limiti; dall’altra parte si accorge di essere senza confini nelle sue aspirazioni…” (Gaudium et Spes, 10). Il fatto è che noi siamo costituzionalmente fatti per trovare la vera realizzazione di noi stessi in Dioe il nostro cuore è “inquieto” finché non trovi in Dio il proprio riposo, come diceva S. Agostino.

Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!”. Gesù si presenta come colui di cui noi abbiamo bisogno come e più del pane: il dono di Dio, capace di colmare le nostre attese più profonde e radicali, al di là di tutti i beni della terra e della vita terrena; quel cibo che alimenta in noi non una vita destinata a morire, ma una vita destinata a espandersi nella comunione eterna con l’infinita realtà di Dio: il “pane del cielo”, il “pane di Dio… che dà la vita al mondo”.

Un pane che si “mangia” credendo in lui, si assimila ascoltando e accettando la sua parola. “Questa è l’opera di Dio” (cioè, quello che Dio si aspetta da noi): “credere in colui che egli ha mandato”. Un pane che rinnova non le nostre energie fisiche, ma “lo spirito della nostra mente”, facendoci comprendere la falsità o la relatività di tante cose, in cui si cerca invano la realizzazione della propria esistenza fin che si rimane al di fuori della “verità che è in Gesù” (cf 2ª lettura)… (Elledici).

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