Pensavo di avere sempre fatto il mio dovere come cristiano impegnato pubblicamente per gli altri (ero sindaco della mia cittadina) e come padre di otto figli. Ma di fronte alla morte del mio primogenito, ucciso a soli 33 anni per rapina, mi ribellai. Perché Dio mi colpiva nel figlio su cui facevo tanto affidamento, sposo e padre di due bambini piccoli?
Subito dopo, però, iniziava per me un cammino di vera conversione, durante il quale mi sembrò di capire che a Dio stesso era costato dare suo Figlio per amore di noi uomini. Non voglio dire eresie, ma sentii vicino quel Dio sofferente.
Cinque anni dopo ci furono gli elementi sufficienti per aprire il processo. In aula non guardavo di proposito verso la gabbia degli imputati. Ad un tratto però incrociai gli occhi col più giovane degli assassini. Senza riflettere, quasi a difendermi da un rigurgito negativo, la mia mano si allungò a stringere la sua. E al fermo ma cortese rimprovero del presidente della corte, risposi che era una questione personale: avevo già perdonato fin dal giorno della morte di mio figlio.
C.S. – Italia