Da due settimane ho ripreso i miei studi all’università, dopo averli sospesi per un anno che ho vissuto in parte ad una Scuola per la formazione dei sacerdoti e in parte nella parrocchia, vivendo in comunione col presbiterio. È stato un periodo di vita intensa. Ricominciare adesso gli studi, dopo quella esperienza, per me è stato un po’ duro, tanto più che l’ambiente universitario, in cui mi trovo, mi sembra freddo e senza rapporti veri.

Capivo che tutto dipendeva da me, se io incominciavo ad amare veramente.

Tutto questo, che era ancora piuttosto un’intuizione, qualche giorno fa l’ho sperimentato. Nell’intervallo tra due lezioni, mi sono incontrato con un ragazzo che conoscevo appena di vista. Si avvicina e mi domanda come si svolge la mia vita, e io gli spiego che con altri cinque sacerdoti abito in un appartamento, e che cerchiamo di vivere una vita di comunione autentica, evangelica. Lo vedo molto compiaciuto, e poi mi parla di sé: mi esprime le difficoltà che trova in collegio, come si sente solo e senza rapporti con i compagni. Avrei voluto subito invitarlo a passare una giornata con noi, ma ho continuato ad ascoltarlo. E lui mi parla della sua vocazione, del suo rapporto con Dio, e persino delle sue difficoltà affettive.

Attorno a noi, nel corridoio affollato, gli altri studenti discutevano, ma per me, in quel momento che lui parlava, era come se al di fuori di lui non ci fosse nessuna altra cosa al mondo. Spontaneamente, sentivo la necessità di essere vuoto davanti a lui, vuoto anche di quella gioia e di quella libertà che senti quando incominci ad amare.

Sicché, alla fine, lui mi domanda di andare insieme in cappellina a pregare un po’. Questo per me è stato bello, perché mi sembrava che tra di noi fosse nato un vero rap­porto da fratelli, in cui ogni cosa si fa con la massima semplicità.

Mi sembrava di aver trovato il mio modo di essere nell’università.

N.N.