Nostro figlio soffriva di depressione. Non riuscivamo ad aiutarlo in nessun modo, anche perché evitava ogni dialogo, ci sfuggiva. Un pomeriggio d’estate decise di lasciare questa vita.

Questa tragedia portò con sé tanti sensi di colpa. Personalmente mi sentivo punita, il suo mi sembrava un gesto di disprezzo verso tutta la famiglia. Insomma ero a terra. Mi attaccai alla preghiera, immaginando la prova vissuta da Maria sotto la croce.

Pian piano, grazie al sostegno della comunità parrocchiale e all’impegno che misi per non far pesare sugli altri figli il dolore che avevo dentro, cominciai ad avvertire un certo risveglio spirituale, e con una nuova energia mi dedicai ad aiutare chi poteva aver bisogno di un servizio, di una parola, di un sorriso.

Un giorno venne a cercarmi una giovane mamma che aveva perso la figlia come me. Le comunicai come cercavo di riempire quel vuoto. Tornò più volte, sentendosi capita, incoraggiata. Non era credente, ma anche lei ritrovò una certa serenità mettendosi a servizio di altri.

G. F. – Italia