23 ottobre 2022 – XXX domenica del Tempo Ordinario
O Dio, abbi pietà di me peccatore (Lc 18,13)
Con la parabola del fariseo e del pubblicano, l’evangelista Luca continua il discorso sull’importanza della preghiera per la vita dei credenti. Oggi ci parla dello stile che deve caratterizzare la preghiera e, più in generale, il giusto modo di relazionarsi a Dio. Non si può dimenticare che la salvezza è un dono gratuito di Dio. Occorre allora togliere dal cuore ogni giudizio verso tutti gli altri.
La parabola inizia con la presentazione dei due protagonisti: un fariseo e un pubblicano. Il fariseo innalza a Dio una preghiera di ringraziamento il cui centro, però, non è il Signore, ma il proprio io. Dall’alto della sua presunta bontà, egli giudica gli altri uomini, quasi che tutti fossero ladri, adulteri, ingiusti e solo lui fosse santo dinanzi a Dio. Poi passa ad elencare le sue opere: egli non si limita ad osservare i comandamenti della Legge, ma fa molto di più. Anche il pubblicano, come il fariseo, sale al tempio a pregare, ma con una disposizione d’animo decisamente diversa. Si ferma “a distanza”, non alza lo sguardo verso Dio. Battendosi il petto, riconosce la propria miseria, invocando la misericordia di Dio, ben consapevole di non avere meriti da rivendicare. Poche parole, pochi gesti e soprattutto nessuna ostentazione: questa è la preghiera del pubblicano, una preghiera che, come Gesù stesso riconoscerà, è gradita a Dio.
Certamente Gesù non loda la vita del pubblicano, così come non disprezza le opere del fariseo. Però tiene a ribadire che l’unico modo corretto di porsi davanti a Dio nella preghiera, che scaturisce dalla vita, è di sentirsi bisognosi del suo amore e della sua misericordia. Questo non solo a parole, ma anche con i fatti, cioè con quelle opere buone che, se compiute nell’amore, rendono gradita la nostra preghiera.