26 marzo 2023 – V domenica di Quaresima

Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo (Gv 11,27)

Riconoscere che Dio è il Signore della nostra vita non è facile, soprattutto in un contesto come il nostro secondo il quale “nostri signori” sono tante realtà mondane. Oggi la signoria di Dio e la speranza che egli sia il principio vitale che ci sottrae alla morte, ad ogni morte, sono messe in discussione e spesso rifiutate. Per questo il cristiano che crede nella risurrezione dei morti, non ha vita facile. Il vangelo di oggi dice: chi crede in me crede nella vita, è capace di gioia, diffonde certezza e speranza.

Tutti noi conosciamo l’episodio della risurrezione di Lazzaro, un amico di Gesù. Si ammala e muore. Le sorelle Marta e Maria informano Gesù e quando Lui arriva, Lazzaro è morto da quattro giorni ed è nella tomba. Pianto e lutto nella casa, tra parenti e amici. Anche Gesù si commuove e “scoppia a piangere”. “Se fossi stato qui, nostro fratello non sarebbe morto” gli dice con una punta di rimprovero una delle sorelle. Ma Gesù, con sicurezza e autorità divina, le dice: “Tuo fratello risorgerà”. Marta pensa che parli della risurrezione finale, nell’ultimo giorno, ma Gesù dice con chiarezza: “Io sono la risurrezione e la vita, chi crede in me, anche s e muore vivrà. Credi questo?”. Ed ecco la professione di fede di Marta: “Sì, Signore, io credo che tu sei il Cristo”. E Lazzaro viene restituito vivo all’affetto dei suoi cari. È un uomo nuovo, “risorto”. Sa che c’è qualcuno più forte della morte.

Le storie del vangelo non sono mai scritte solo per essere lette, ma anche per essere rivissute. La storia di Lazzaro è stata scritta per dirci questo: c’è una risurrezione del corpo e c’è una risurrezione del cuore; se quella del corpo avverrà “nell’ultimo giorno”, quella del cuore avviene o può avvenire ogni giorno. Oggi stesso. Come fare? Bisogna “mandare a chiamare Gesù”. Invocarlo come fanno le persone sepolte sotto una valanga o sotto le macerie di un terremoto, che richiamano con i loro gemiti l’attenzione dei soccorritori. E quando siamo come Lazzaro nella tomba, è necessario che ci sia qualcun altro che faccia questo per noi. E questi altri talvolta possiamo essere noi.

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