2 aprile 2023 – domenica delle PALME

Davvero costui era Figlio di Dio! (Mt 27,54)

La passione, che oggi leggiamo nel Vangelo, non rappresenta un episodio a sé stante nella vicenda complessiva di Gesù, ma segna il «punto di rottura» della tensione provocata nella società del suo tempo e del suo ambiente da tutto il suo modo di comportarsi, di parlare e di insegnare.

Gesù è stato condannato perché il suo comportamento e le sue parole non apparivano compatibili con la mentalità comune, con il sistema di rapporti sociali dato per scontato, con le norme, le istituzioni e le tradizioni ritenute più sacre e inviolabili. Se ci mettiamo dal punto di vista dei giudei osservanti e dei custodi delle istituzioni religiose del suo tempo, non era affatto evidente che Gesù «avesse ragione»…

D’altra parte, la personalità, il comportamento e l’insegnamento di Gesù presentavano aspetti così nuovi e originali, che alla fine più nessuno riconobbe in qualche modo in lui le proprie attese a proposito del «Messia»: né i capi religiosi, né gli «zeloti», né il popolo.

Per questo Gesù fu condannato. Per aver osato dire: «Beati i poveri», e più ancora: «Guai a voi ricchi»; per aver osato dire: «Ti sono rimessi i tuoi peccati»; per non aver osservato il sabato secondo le regole; per non aver accettato di essere proclamato re dalla gente; per aver detto che bisogna perdonare sempre; per aver detto che nel regno di Dio pubblicani e prostitute possono anche «passare avanti» a qualcuno che fa professione di stretta osservanza religiosa; per aver osato scacciare i mercanti dal tempio…

Ci voleva una grande libertà di spirito per poter «capire» Gesù; ci voleva grandezza d’animo; ci voleva una disponibilità radicale e personale al bene, al senso della giustizia, alla logica dell’amore per Dio e per il prossimo, senza remore di pregiudizi, abitudini, convenzioni, interessi.

Ma Gesù si è scontrato con la meschinità, l’egoismo, l’orgoglio, la presunzione, la viltà, la cattiveria, la mediocrità degli uomini: quelli del suo tempo come quelli di sempre, i ricchi e i potenti come i poveri e la gente comune…

A uccidere Gesù non è stata tanto l’azione criminale di qualcuno, quanto piuttosto i peccati comuni a tutti. È stata la «banalità quotidiana del male» (Duquoc) a escludere Cristo dalla faccia della terra: in Giuda, nei sommi sacerdoti, in Pilato, nei soldati, nella folla di Gerusalemme, c’era qualcosa di tutti noi.

E tuttavia, proprio accettando liberamente la sua ingiusta condanna e la sua morte in croce, Gesù ha vinto la forza anonima e indominabile del «peccato», di quel «male» che si manifesta in mille modi nella vita di tutti e che è comune a noi come ai protagonisti storici della sua passione.

Cristo è morto per noi, per tutti gli uomini: nel suo nome abbiamo la certezza della misericordia di Dio; da lui – risuscitato da morte e innalzato alla destra del Padre – riceviamo in dono lo Spirito Santo, fuoco che brucia il peccato, energia che santifica nella carità.

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