Nel mio reparto era stato ricoverato un uomo di 52 anni che si era sparato alla testa per problemi familiari. Per fortuna il cervello non aveva subìto danni, ma gli occhi erano stati compromessi. L’intervento chirurgico fu molto complicato. Nelle visite che seguirono non faceva altro che ripetere di voler morire.

Dopo il periodo di terapia intensiva, fu portato nel mio reparto, dove approfittavo di ogni occasione per salutarlo. Un giorno gli chiesi: “Sa chi c’è accanto a lei?”. E lui: “Non vi vedo, ma penso sia la dottoressa che mi ha operato. Durante l’operazione ho percepito tanto amore”. Gli promisi che avrei fatto il possibile per salvargli almeno un occhio. A conferma di ciò, una mattina mi disse che cominciava a vedere un barlume di luce. La vista migliorò giorno dopo giorno.

Qualche mese dopo essere stato dimesso, venne a trovarmi. Era un’altra persona: per lui era cominciata una nuova vita, anche nel matrimonio. Ma soprattutto, diceva, aveva trovato la fede. Gli ho risposto scherzosamente che aveva dovuto perdere un occhio per vederci meglio!