I miei bambini di sette e cinque anni giocavano incuranti di ogni pericolo. Non feci in tempo a raggiungerli, dopo l’ esplosione della granata, che giacevano tutti e due sanguinanti. Li raccogliemmo e via all’ impazzata, verso l’ ospedale. Dentro di me un accavallarsi di sentimenti: sgomento, paura, dolore… ma dovevo occuparmi dei bambini e trasmettere loro pace. Lui aveva delle schegge nel capo e fu operato d’ urgenza, lei era meno grave.
Di notte, vegliavo al loro capezzale. Ogni tanto si lamentavano, assaliti da incubi: “ Perché ci hanno fatto questo?”. Cercavo le
parole giuste per far capire che chi aveva sparato era certamente qualcuno che aveva molto sofferto, forse non aveva i genitori, forse voleva solo distruggere i cannoni che stavano dalla nostra parte… Quando i bambini si assopirono, cominciai a pregare, ad affidarli a Dio e chiedere che non rimanesse in loro odio.
Oggi, dopo decenni, a proposito di quell’ episodio doloroso, mio figlio lo considera un incentivo a dare il suo contributo per la pace nel mondo.
R.S. – Libano