Una volta don Giulio mi raccontò che, appena giunto in Brasile, trascorse due anni senza che nessuno gli rivolgesse la parola: la gente si limitava ad entrare in chiesa la domenica, per la Messa, uscendone al termine per ritornarvi la settimana successiva. Due anni di silenzio sono interminabili, un deserto senza limiti. Per quella gente era uno straniero, un estraneo, un uomo bianco vestito di strano.

Poi succede qualcosa. Durante una Messa un bambino piange disperatamente tra le braccia della madre. Don Giulio interrompe la celebrazione, si avvia verso il bambino, lo prende in braccio e lo mette a sedere sull’altare. Un gesto forse banale, insignificante, dettato dall’intuizione di un momento. Eppure, in quel momento, accade qualcosa. La gente, fino ad allora muta ed indifferente, capisce. Capisce che quell’uomo bianco vestito di strano è uno di loro, un uomo come loro. O forse è don Giulio che in quel momento capisce che quella gente ha bisogno di SEGNI, di segnali forti e concreti per entrare in relazione, per comunicare.

Da “Un fiore per…” , tratto da” Le Terre Splendenti di Giulio Leverani”

Tratto da Camminiamo insieme del 6 aprile 2014